Parcheggio

Il parcheggio e l’arte della critica

Cosa vuol dire esercitare la critica, oggi? In cerca di una buona risposta, proviamo a discutere del recente caso del bando di gara promosso da Tursi per la concessione a privati del sottopasso di Piazza Portello.
28 Dicembre 2020
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Più o meno nel cuore di Genova, sta succedendo una cosa che, a suo modo, è davvero piccola, rispetto agli effetti prodotti dall’uragano Covid su economia, salute, politica eccetera. Infatti, non la trovate nei titoli dei giornali, né tra le storie di influencer o social media locali. Anche perché, nella sua brutalità del puro fatto, è potenzialmente una delle cose più noiose che vi potreste trovare a leggere, e non solo in tempi di uragani. Per dire: riguarda parcheggi, sottopassi e bandi di gara per privati. Talmente soporifero che dovete immaginare che ve lo stia raccontando Scarlett Johansson, o chi per lei possa funzionare nel ruolo, insomma. Il caso del bando di gara promosso da Tursi per la concessione a privati del parcheggio di Piazza Portello.

Ecco, immaginate che chi avete scelto vi dica questo:

Tursi ha lanciato un bando di gara rivolto a soggetti privati interessati ad acquistare per 90 anni il diritto di superficie dell’ex sottopassaggio pedonale di Piazza Portello in cui realizzare 29 box privati per auto. Lo ha fatto perché un noto imprenditore locale del settore ha già chiesto di ottenerlo al proprietario dell’immobile, il Comune di Genova, che ovviamente vuol verificare se possano esserci ulteriori offerte, al rialzo rispetto alla proposta ricevuta.

C’è, dunque, questo sottopassaggio chiuso da un casino di tempo, in una zona complicatissima per il traffico, in cui fare cantieri è un delirio di burocrazia e quindi di soldi, e pure in termini idrogeologici è abbastanza uno strazio.

Infatti, da diversi lustri, diverse amministrazioni se lo sono rimpallato, senza venirne a capo. Oggi, finalmente (?), si arriva a una decisione. Tuttavia, come scrive Repubblica, la decisione è quella di andare “con forza, [verso] un’idea che va contro le più avanzate strategie internazionali, tendenti a non richiamare mezzi privati nelle zone centrali delle città.”. 

Inoltre, è un’idea di gestione dello spazio pubblico urbano molto chiara: bisogna valorizzare gli spazi, renderli il più possibile indispensabili allo sforzo produttivo (cit.) della città con la conseguenza di delegare proprietà e responsabilità della loro gestione a soggetti che non sono la comunità dei cittadini. 

Così, mi sembra che questa cosa piccola e noiosa sia, in realtà, un ottimo esempio per domandarsi cosa voglia dire oggi – se ancora vuol dire qualcosa – la parola “critica”.

Che diavolo può voler ancora dire “esercitare la critica” in un contesto complesso e stratificato come quello che abitiamo oggi?

È chiaro che non si può risolvere lapidariamente la questione dicendo che “criticare” significa affermare, pur con buone ragioni, che Tursi – oggi come in passato – sbaglia. Non è così semplice. E questo caso lo dimostra chiaramente: è molto complessa la sua gestione, in termini finanziari, sociali, giuridici e idrogeologici. Quindi, è necessario elaborare una strategia brillante, per gestirla. Che non può essere risolta tramite una ingenua e banale scelta di campo tra pubblico e privato. (Articolo di wall:out Il caso Villa Serra. Possiamo uscire dalla trappola del pubblico contro il privato?)

Ma allora, di nuovo, se la critica non è questo, se non è e non può essere, banalmente, schierarsi all’altro capo di un certo modo di governare e prendere decisioni – e non può esserlo perché, innanzi tutto, spesso quelle decisioni sono così articolate e sfaccettate che non prevedono una possibilità dicotomica di alternativa tra bianco e nero: ecco, se critica non può più essere questo, allora: cosa vuol dire, oggi?

Per avere una buona risposta, tocca fare l’acrobazia di un morphing che trasfiguri Scarlett Johansson (o l’avatar che avete scelto prima) in Michel Foucault: che non è un altro attore di Hollywood, ma può essere almeno altrettanto cool come influencer. Se avete fatto il morphing, ascoltiamo la sua risposta:

Che cos’è la critica? È l’arte di non essere eccessivamente governati.

So che lascia un po’ interdetti: ma è proprio qui che la storia piccola e noiosa del parcheggio ci aiuta a dare corpo a questa risposta. Infatti, “l’arte di non essere eccessivamente governati” significa che la critica sta sempre meno nel collocarsi all’altro capo di una certa posizione, quindi ingenuamente contro e, invece, sempre più nel addestrarsi al continuo immaginare altro da quel che ci viene consegnato come il reale. Per tornare al nostro influencer

la ragion d’essere fondamentale [della critica] è nell’irrequietezza della possibilità più che nella serenità della certezza.” (Governo, potere e critica in Michel Foucault)

Allora, per come la vedo io, col nostro parcheggio sotterraneo nel cuore della città, le cose stanno così 

Il governo attuale decide di dare in concessione a un privato per 90 anni – cioè vendere – una zona di proprietà pubblica – cioè di proprietà comune dei cittadini genovesi – ricavandone denaro e liberandosi della responsabilità di gestire quel piccolo cuore complicato. Che cos’è la critica, dunque, di fronte a tutto questo?

Non tanto un urlare contro questa scelta, invocando la certezza che sia meglio – più giusto – il suo contrario. Semmai, la forza della critica sembra più vicina a una “irrequietezza della possibilità”, vale a dire al domandarsi se davvero non potrebbe essere diversamente da così. 

Insomma, delle due l’una: o vendere spazi pubblici a privati è l’unica soluzione possibile, e allora l’attività politica, in quanto tale, è svuotata del suo significato e quel che ne rimane non è che un mero gesto tecnico di gestione del necessario; oppure, esistono alternative a questa scelta, e allora qui ritorna potente e limpido l’insinuarsi della critica come arte del non essere eccessivamente governati. Criticare significa, perciò, spostarsi dalla linea della “necessità di valorizzare risorse” presentata come unica e indiscutibile e cominciare a pronunciare domande che partono da altri presupposti.

Provo a pronunciarne una, tra le tante:

Non sarebbe possibile essere governati diversamente? Non sarebbe, cioè, possibile governare spazi pubblici trasformandoli in spazi di cura condivisa? Non sarebbe possibile immaginare questi spazi e, di conseguenza, formare amministratori – tu chiamali, se vuoi, manager – capaci di questo diverso tipo di governo?

Ogni tanto, ci insegnava Foucault, la critica è l’arte di saper chiedere (non) per un amico.

Immagine di copertina:
Foto di Gratisography


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Nasce e vive a Genova, dove ha studiato Economia e altre cose noiose. Finisce a lavorare a Milano, dove ora insegna Sociologia della cultura all’Università di Milano-Bicocca. Nel frattempo, ha scritto di cibo e altre cose divertenti su riviste scientifiche, quotidiani on line (Genova24.it) e su qualche libro (Carocci Editore). Per il resto, si dedica a due discipline antiche: arti marziali cinesi e degustazione di vino.

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