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W:OW | Lo Spazio Pubblico – report del talk

Come concepire l'arte nello spazio pubblico: tra rigenerazione urbana e gesto di rottura, dal punto di vista della pratica artistica, della curatela e dell'antropologia urbana.
6 Maggio 2022
4 min
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L’argomento che abbiamo affrontato nel talk “Lo spazio pubblico”, moderato da Federica Bruzzone, è quello della rigenerazione urbana tramite l’arte pubblica. Argomento che interseca due dei temi cardine di wall:out cioè società e arte, due estensioni possibili del senso di cultura, che come abbiamo ripetuto più volte, se resta fine a se stessa diventa qualcosa di vacuo. 

Hanno preso parte alla chiacchierata gli artisti di Magazzino 41 (Drina A12 e GiulioGol), Cesare Bignotti (in arte Useless Idea), Cristiano Ghirlanda (Art Director di Lighting for Genoa – Condiviso Coop), ovvero figure che hanno agito concretamente nello spazio urbano; insieme professionalità che si occupano di questo tema da un punto di vista più teorico come l’antropologo urbano Federico Barbieri o il curatore urbano Andrea Pioggia di Walk the Line.

Profili complessi, multiformi e fra loro dissimili, ideali per confrontare punti di vista differenti su un tema complesso come la rigenerazione urbana attraverso l’arte.

La scelta di dedicarsi alla rigenerazione urbana, per ciascuno dei relatori, è legata all’impatto sociale delle opere e alla partecipazione di un pubblico che in primo luogo è la comunità che ospita gli interventi artistici.

Sia per il progetto Magazzino 41 diffuso nel ponente genovese a opera di Drina A12 e GiulioGol, sia per gli innumerevoli interventi urbani di Walk the Line e anche per il progetto Lighting for Genoa di Condiviso che allo stato attuale vede il suo primo intervento compiuto in piazza don Gallo, luogo denso di storia e di fascino al centro del tessuto urbano genovese ma troppo spesso non preso in considerazione; per ciascuno di questi progetti – che vedono procedure, tempistiche e modalità d’azione nettamente differenti, dalla pittura murale all’utilizzo del light design – la linea comune è entrare in comunicazione con l’ambiente all’interno del quale l’arte viene inserita: la relazione e l’interazione degli abitanti dei quartieri è l’elemento imprescindibile sia prima che durante, e anche dopo gli interventi.

Spesso gli spazi pubblici delle grandi città finiscono per essere spazi non di tutti ma di nessuno, anche attraverso quella che viene chiamata architettura ostile che impedisce di fruire pienamente dello spazio pubblico con l’intento di contenere la presenza di clochard ma che danneggia anche gli adolescenti.

Processo che vede l’aumentare di zone comunemente considerate degradate anche all’interno dei centri urbani. In questi casi la ricerca visuale, se concatenata alle istanze sociali, può portare a una rigenerazione urbana.

È stato riconosciuto, nel corso della chiacchierata, che l’intervento artistico non è l’unica determinante per attivare un processo di rigenerazione urbana, e che perciò murales e monumenti sono inseriti correttamente negli spazi pubblici di realtà marginalizzate solo se al contorno c’è un tentativo più ampio di rilancio della zona, a partire dall’accessibilità delle vie di comunicazione per finire con la presenza di farmacie o servizi primari.

Tutti elementi da studiare, progettare e impiantare nelle aree urbane in difficoltà tenendo conto delle esigenze e le priorità di chi in primo luogo quelle aree le abita.

Da qui la necessità di collaborare con le istituzioni e le amministrazioni locali insieme ai privati secondo un processo di committenza che rende la ricerca visuale al servizio della pratica sociale di rigenerazione urbana. 

Ecco allora che vediamo dividersi due aree d’azione, o meglio di competenza, nel praticare arte urbana

Da una parte, come abbiamo notato, c’è l’operatore sociale (e/o culturale) che compartecipa del processo di rigenerazione insieme a istituzioni e privati in piena regola con committenze, compiti e obiettivi ben stabiliti e concordati; dall’altra vediamo street-artists indipendenti come Useless Idea, che ha realizzato interventi di rottura con il Columbus Day, reinterpreta lo spazio lasciato vuoto dai manifesti staccati, dissemina le strade e i carruggi della nostra città con cartoni dipinti e adesivi.

Parliamo di artisti principalmente non-istituzionalizzati e underground il cui obiettivo, se c’è, è solo quello di riappropriarsi dal basso del patrimonio visuale urbano, senza obiettivi a lungo termine né collaborazioni con l’amministrazione, ma principalmente nell’anonimato e talvolta nell’illegalità come gesto di rottura politica.

Da qui la domanda, antica come lo è la storia dell’arte:

Quale delle due attitudini è realmente fare arte? Il gesto di rottura in piena indipendenza (“art for art’s sake”) degli street artist? O l’agire pianificato, con tutela e retribuzione dell’operato artistico, dell’operatore sociale (e/o culturale?)

Viene in aiuto l’esempio dell’arte muralista messicana di Diego Rivera e della commistione di entrambe le pratiche, sia quella di rottura che quella istituzionalizzata, come a dire una volta ancora che in medio stat virtus.

Sul finire della chiacchierata si è parlato di monumenti e di cosa e in che modo determina il valore di monumento in relazione a opere d’arte pubblica. L’esempio del grande mural [link 6] di Magazzino 41 sul palazzo IREN a Campi dedicato ai Vigili del Fuoco è stato oggetto di discussione: se in un primo momento gli artisti non ne hanno riconosciuto il valore monumentale – per il fatto che l’opera era già stata pensata dagli artisti prima del crollo del ponte e realizzarla dopo sembrava loro un gesto posticcio – tuttavia, e ne conviene l’antropologo Federico Barbieri, lo è diventato nei fatti dal momento che gli abitanti della zona e i cittadini lo hanno riconosciuto come tale.

In conclusione notiamo come sia prezioso il contributo teorico dell’antropologia per creare spaccature e aperture nei concetti coi quali siamo abituati a confrontarci, a partire dal concetto di monumento per finire alla concezione stessa di rigenerazione urbana.

Le materie umanistiche sono spesso viste come secondarie, velleitarie e senza risvolti pratici; l’antropologia è così poco presa in considerazione da non avere una laurea triennale dedicata in Italia ma solo la magistrale in una manciata di atenei. Si tratta però di una disciplina che, superate le sue origini coloniali, raggiunge nuovi sviluppi più contemporanei come l’antropologia urbana e diventa fondamentale per rivolgere lo sguardo non solo sull’altro ma su noi stessi in modo critico così da ripensare in meglio la nostra società.

Abbiamo dunque visto come l’arte possa agire sugli spazi urbani in maniera rivoluzionaria rispetto ai dettami polverosi della società in cui viviamo. Per questo ringraziamo i preziosi interventi dei relatori.

Immagine di copertina:
Foto di Greta Asborno


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