Monumenti

Monumenti per il presente

Si abbattono statue e si discute di simboli. Un approfondimento genovese da "Che l'inse" al barchile di Enea, passando per Vittorio Emanuele II e le parole di Giorgio Caproni.
23 Giugno 2020
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I recenti avvenimenti successivi all’assassinio di George Floyd ci hanno fatto riflettere su un tema decisamente complesso. Dagli Stati Uniti all’Inghilterra, passando per una gran parte di stati europei, si verificano insurrezioni popolari sempre più diffuse: al grido Black Lives Matter l’obiettivo risulta forte e chiaro, distruggere i simboli e i monumenti del potere razzista.

Da genovesi, vanesi compatrioti di Colombo, ci sentiamo sollecitati… E come capita sempre più spesso riguardo ai grandi temi di discussione pubblica, siamo confusi. 

Delle organizzazioni autonome di persone – vandali, se volete, o rivoluzionari – stanno decapitando e abbattendo monumenti pubblici raffiguranti generali, politici, governatori e altri uomini del passato. Gesti forti che parlano del nostro tempo. Statue che erano mute, innocue e ignorate fino a questo momento, oggi rappresentano qualcosa di nuovo in un mondo che cambia.

Quando parliamo di monumenti, parliamo anche di simboli. Simboli che cambiano, si rinnovano e si adattano. Simboli che si intrecciano con la storia, con le storie, con le narrazioni e le opinioni.

Veniamo al sodo. 

Abbiamo fatto un giro in città riflettendo su questi temi, scoprendo come i monumenti genovesi si legano alla storia, si intrecciano con la politica, la società e la cultura.

Piazza Corvetto – Statua equestre di Vittorio Emanuele II

Monumenti - Vittorio Emanuele II
Statua equestre di Vittorio Emanuele II. Foto di Arianna M.

Quante volte siamo rimasti bloccati nel traffico della rotonda micidiale ai piedi del re dell’Italia unita, in piazza Corvetto? Nessuna di quelle volte abbiamo speso un pensiero per la legittimazione politica a Genova del simbolo sabaudo – sempre ammesso che ne conoscessimo l’identità – neppure alzando gli occhi al cielo, sbuffando. 

Ebbene, di recente ci ha pensato Andrea Acquarone, presidente dell’associazione “Che l’inse!”, tanto da lanciare una petizione online per rimuovere la statua. Come evinciamo da un recente articolo su Genova24, il punto non è solo che Vittorio Emanuele non fu mai particolarmente amato dai genovesi, per via della forzata annessione al Regno di Sardegna nel 1815, o della sanguinosa repressione delle rivolte mazziniane nel 1848, ma il motivo della petizione, sopratutto, riguarda certe parole scritte dal re a quel tempo:

A rendere ancora più odiose le violenze sulla popolazione genovese è il testo della lettera che il re Vittorio Emanuele scrisse al generale La Marmora (in francese):

“Mio caro generale, vi ho affidato l’affare di Genova perché siete un coraggioso. Non potevate fare di meglio e meritate ogni genere di complimenti. Spero che la nostra infelice nazione aprirà finalmente gli occhi e vedrà l’abisso in cui si era gettata a testa bassa. […] che ella impari per una volta finalmente ad amare gli onesti che lavorano per la sua felicità e a odiare questa vile e infetta razza di canaglie di cui essa si fidava e nella quale, sacrificando ogni sentimento di fedeltà, ogni sentimento d’onore, essa poneva tutta la sua speranza”. 

Sulla scia dei movimenti internazionali volti a detronizzare i simboli del razzismo, Andrea Acquarone dichiara per Genova24:

“Quella statua rappresenta un re, un personaggio che parlava in termini razziali dei genovesi. E potrebbe rientrare nella lista di quelle che in questi giorni finiscono per terra. Buttare giù una statua è un atto creativo e rigenerativo, e quella a Genova sarebbe la prima da togliere”, spiega Acquarone. La petizione è più che altro “una provocazione, il tentativo di aprire un dibattito per vedere chi risponde. È un gesto da avanguardia estetica”.

E al dibattito stanno già partecipando alcuni. Curioso notare come questo fatto, nella nostra città, sia entrato compostamente nel discorso pubblico: storicamente le azioni forti di avanguardia estetica non si configurano affatto come proposte pacate. Camilla Ponzano, presidente di Riprendiamoci Genova, addirittura, ricorda gli “impacchettamenti” di Christo immaginando di intervenire artisticamente sulla statua anziché abbatterla. 

Monumenti - Vittorio Emanuele II
Statua equestre di Vittorio Emanuele II. Foto di Arianna M.

Mentre nel resto d’Europa e del mondo giovani esaltati, raccogliendosi per le strade a deturpare icone, fanno dell’azione la loro principale arma di difesa nei confronti di un mondo ostile, noi italiani restiamo rallentati, perplessi. Forse per devozione ai nostri simboli, forse perché ci sentiamo ancora “troppo giovani” e inesperti per prenderci la responsabilità di certi gesti violenti, che in fondo, non capiamo.

Poi succede che a Genova si creano salotti intellettuali come questo relativo alla statua di Vittorio Emanuele II, che di per sé non è affatto un male, anzi, ma è quantomeno curioso che il motivo del contenzioso sia qualcosa di ben lontano dai temi internazionali, e piuttosto sia una libera interpretazione, provinciale, originale, di quanto sta realmente accadendo fuori.

A ben guardare, comunque, si trovano parecchi spunti interessanti, primo fra tutti è che il monumento equestre del re di Savoia si è rivelato essere un simbolo debole, lontano, passibile di nuove interpretazioni, e che paradossalmente ora ha più valore di quanto ne avesse prima. 

Piazza Portoria – Monumento al Balilla

Monumenti - Balilla
Monumento al Balilla. Foto di Arianna M.

Non solo perché il sopracitato Andrea Acquarone è presidente dell’associazione “Che l’inse!”, ma soprattutto perché si parla di monumenti e simboli genovesi, corre l’obbligo di fare qualche passo in più, fin davanti all’entrata del Palazzo del Tribunale, e prendere una visione approfondita anche del Monumento al Balilla, uno dei più antichi della città, in piazza Portoria.

5 dicembre 1746. Il giovanissimo Giovan Battista Perasso detto Balilla è il nostro Davide contro Golia, glorioso difensore di Genova nella resistenza all’invasione asburgica: simbolo di ribellione e rivalsa, di chi difende ciò che è suo con i denti e fomenta la rivolta con un sasso. Che l’inse?

Non dimentichiamo che ogni monumento pubblico non è solo veicolo di valore simbolico, ma in quanto oggetto materiale racconta la sua particolarissima storia: nel caso del Balilla nuovamente è chiamato in causa il regno sabaudo. Leggiamo l’iscrizione – restaurata recentemente – sul basamento marmoreo della statua:

Monumenti - Balilla
Monumento al Balilla. Foto di Arianna M.

Trascorsi gli eventi bellici e i disordini intorno al 1848, nell’ambito delle iniziative di pacificazione tra piemontesi e liguri, dunque, fu lo stesso Vittorio Emanuele II a far fondere in bronzo il Balilla secondo il modello realizzato dall’artista Vincenzo Giani su commissione della Società Promotrice di Belle Arti di Torino.

Lo scoppio della seconda Guerra di Indipendenza, poi, ritardò i lavori: forma finale e collocazione dell’opera furono stabilite a conflitto terminato. A seguito di alcune peripezie – ad esempio, dopo essere stato una fontana – il monumento al Balilla fu inaugurato pubblicamente solo il 2 ottobre del 1881. 

Ma tutti sappiamo cosa sarebbe successo circa settant’anni dopo: la rovinosa demolizione e ricostruzione dell’intero quartiere di Portoria, scempio mai troppo denunciato, dovuto “all’avidità degli speculatori e alle colpevoli debolezze dei reggitori della città”, come recita la colonna infame per l’abbattimento di via Madre di Dio, posta in vico Tre Re Magi.

Durante i lavori, la statua di Giovan Battista Perasso, detto il Balilla, venne custodita a Palazzo Tursi, mentre il suo basamento rimase in loco.

Ora torniamo indietro di una trentina d’anni. Non più per curiosare la storia della statua nella sua vita materiale, ma per leggere come è cambiato il simbolo che rappresenta.

Tutti sappiamo, nuovamente, che il nome del Balilla fu preso in prestito dal fascismo, motivo per cui oggi la sua potenza si è adombrata. Durante la storia, evidentemente, i simboli cambiano, e a volte si compromettono.

Nel 1926 venne istituita in Italia, dal regime fascista, l’Opera Nazionale Balilla (ONB), organizzazione giovanile costituita come controparte ideologica della scuola, prevalentemente orientata alla formazione militare. Banditi tutti gli altri movimenti, l’ONB fu il contesto all’interno del quale crebbe e si formò la generazione dei nostri – in linea di massima – nonni.

Monumenti - Balilla
Monumento al Balilla. Foto di Arianna M.

Certamente, di grande simpatia per il fascismo – ancora irredentista – fu la resistenza del Balilla all’Impero asburgico. Ma questa è solo una lettura della giornata del 5 dicembre 1746: il giovane Perasso per alcuni genovesi continua a rappresentare la resistenza, anche quella contro il fascismo. Per altri genovesi, magari alcuni tra quelli che nel dopoguerra hanno perso la casa e un quartiere-famiglia, la statua del Balilla oggi ricorda piazza Pammatone e il vecchio quartiere di Portoria, e dunque è divenuto simbolo d’ingiustizia, anche.

Questo per sottolineare quanto possa essere bizzarra la storia di un simbolo: evinciamo che spesso le interpretazioni non sono mai univoche, e il gioco si fa più complicato quando tra le carte delle interpretazioni si mischiano quelle dell’appropriazione storica e del ricordo privato.

Piazza Bandiera – Barchile di Enea

Monumenti - Enea
Barchile di Enea. Foto di Arianna M.

Terminiamo la nostra passeggiata con una visita a una statua genovese tanto sottovalutata quanto, in realtà, degna di nota: pochi metri sotto al quartiere del Carmine, posta a egual distanza tra la meravigliosa chiesa dell’Annunziata e il Liceo Classico Colombo, in piazza Bandiera – “rossa” qualcuno ha scritto a bomboletta sull’insegna in marmo – giace silenzioso il piccolo monumento a Enea, al centro di un piccolo, triste, parcheggio.

Non solo Enea, a dir la verità, ma anche il padre Anchise sulle spalle e il “figlioletto” Ascanio per mano, a costituire il gruppo scultoreo realizzato da Francesco Baratta.

Forse si tratta di un soggetto troppo classico, lontano, sganciato dalla storia attuale, sganciato dal tempo; è possibile che non possa agganciarsi a nessun fatto familiare – a meno che non abbiamo passato cinque anni sui banchi di quel liceo, vicino, che porta il nome di un conquistatore razzista. Forse sì.

Diamogli una chance, però. A Enea lo dobbiamo.

Dunque: la scena raffigura la fuga da Troia in fiamme. L’eroe latino destinato alla fondazione di Roma, Enea, è l’ultimo superstite dei troiani. Qui leggiamo il mito, non il fatto storico – ammesso che poi la differenza sia così accertabile – e scopriamo che stiamo già parlando di simboli, ancora prima di interpretazioni. 

L’eroe di Virgilio non è più solo guerriero, come lo erano gli eroi di Omero, ma è prima di tutto un uomo, con le sue contraddizioni, le sue domande, la sua celebre pietas. È un uomo come noi, con sulle spalle il passato (il padre Anchise) e per mano il futuro (Ascanio, soprannominato Astianatte).

Monumenti - Enea
Barchile di Enea. Foto di Arianna M.

Oggi, in piazza Bandiera, lo vediamo nella sua natura autentica, umile: affiancato da cartelli di divieto di sosta, con mendicanti e ubriaconi stanziati sotto al suo basamento. Rimane, tuttavia, una scultura molto interessante, e bella. Dinamica ed elegante.

La storia del monumento è affascinante almeno quanto la sua attuale collocazione: sul blog di “a Mae Zena” leggiamo che in origine la statua venne posizionata al centro di Piazza Soziglia, nel cuore dei Macelli. Da lì, in seguito alle proteste degli abitanti che la ritenevano troppo ingombrante, venne trasferita in Piazza Lavagna. Purtroppo, nel frattempo divenne bersaglio delle sassate dei monelli del quartiere e, in parte danneggiata, fu ricoverata in un magazzino in attesa di essere restaurata. Nel 1844, poi, venne nuovamente spostata in Piazza del Fossatello. Infine, trovò la sua attuale collocazione in Piazza Bandiera nel 1870.

Le sue peregrinazioni, che non hanno nulla a che invidiare a quelle dell’Enea del mito, hanno destato l’interesse dell’autore genovese Giorgio Caproni, il quale scrisse:

Io ho girato molte città d’Italia, ma Enea non l’ho conosciuto altrove. Perlomeno non ho incontrato l’unico Enea possibile, l’unico Enea veramente vivo nella sua solitudine e nella sua umanità. L’unico Enea insomma che meritava davvero un monumento in mezzo a una piazza, simbolo unico di tutta l’umanità moderna, in questo tempo in cui l’uomo è veramente solo sopra la terra con sulle spalle il peso d’una tradizione ch’egli tenta di sostenere mentre questa non lo sostiene più, e con per mano una speranza ancor troppo piccola e vacillante per potercisi appoggiare e che tuttavia egli deve portare a salvamento.

GIORGIO CAPRONI

Questo il motivo per cui il monumento di Enea in piazza Bandiera è davvero interessante, ragione per cui costituisce la terza tappa, conclusiva, della nostra passeggiata. 

Per ciò che rappresenta, nella posizione fisica in cui si trova e con la storia che si porta, oggi, simboleggia noi: noi da soli, con sulle spalle il peso della tradizione e per mano una speranza ancora troppo piccola. Noi che cerchiamo di orientarci, che continuiamo a farci domande e continuiamo a cercare il valore delle cose. Nei fatti, nelle interpretazioni, nei simboli.

In definitiva, mi sembra che i monumenti siano storie: che le storie siano di Virgilio, di Caproni, Mussolini o Vittorio Emanuele, siamo sempre noi a leggerle. E proprio come un libro, può interessare, lasciare indifferenti o anche cambiare la vita.

Il monumento, dice Alessandro del Puppo (L’Arte Contemporanea, Einaudi), ha una doppia natura relazionale: da una parte è in relazione all’interpretazione del suo pubblico, e in questo certamente si rompe la volontà di rappresentare una certa, precisa, memoria condivisa. Dall’altra parte, in quanto oggetto plastico, è sicuramente in rapporto alle regole della scultura e al dialogo con il suo sito specifico.

Aggiungo una terza natura relazionale, alla luce degli spunti che ha offerto la passeggiata di oggi: in quanto veicolo di un valore simbolico, il monumento, è costantemente in dialogo con le parole, i discorsi, grandi o piccoli che siano.

I quali a loro volta, in ultima istanza, mutano con il tempo.

Immagine di copertina:
Foto di Arianna M.


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Membro del duo curatoriale Mixta con il quale si occupa di progetti artistici che siano attivatori sociali. Ha curato mostre, rassegne e festival negli spazi pubblici, nelle periferie e nei luoghi istituzionali della città di Genova. È anche fondatrice e CEO di Wanda, associazione per la trasformazione culturale, che accorcia le distanze tra le nuove generazioni e la cultura.

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