Nelle vene della Betulla

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Alice Jankovic, Genova, 1996, ha frequentato il Liceo Artistico E.Luzzati di Chiavari, successivamente si è trasferita in Svezia per un anno lavorando come ragazza alla pari permettendole così di viaggiare in vari luoghi del Nord Europa e scoprirne le tradizioni gli usi e i costumi.

G: Ciò che con sorpresa ho compreso dall’intervista con Alice Jankovic è che abbiamo avuto l’occasione di parlare con un’artista molto coerente tra quello che sente e quello che produce: tutto il suo percorso, il suo interesse, il suo progetto è prima dello scatto.
Quell’ultimo scatto è la sua conclusione per rendere permanente, per se stessa, tutto quello che ha conosciuto fino a quel momento di quell’istante, di quel luogo e di quella persona.
Mi ha colpito molto questo suo enorme interesse al sentire quello che la circonda, ad affiancarcisi con assoluta discrezione e con così tanta coscienza di quello che sta vedendo che basta un solo scatto per garantire una foto perfetta.
Il suo estremo bisogno di partire e avvicinarsi alle diverse realtà che pochi sanno realmente conoscere e accettare così nel profondo rendono la sua produzione tutta da scoprire e dialogare.

A: Concordo con te, stiamo parlando di una ragazza davvero interessante, un’artista precisa e misurata. Avevo già questa impressione, ma dopo aver dialogato con lei mi sono persuasa che Alice è più di una fotografa di reportage. Senza togliere nulla alla fotografia di reportage, che considero incredibilmente interessante: penso che la fotografia possa essere un medium artistico quando è funzionale ad altri fini, quando dietro all’obiettivo c’è un autore che prova a conciliare il mondo interiore con quello esteriore, selezionando porzioni di immagini per trasformarle in storie, suggestioni, rivelazioni. Alice prova esattamente a usare la macchina fotografica in questo senso: lo scatto, come dici tu, è quasi sempre il momento conclusivo del suo processo artistico.
Alla base del suo processo c’è la necessità di viaggiare da sola ed esplorare luoghi, paesi, persone. È affascinata dalle culture del Nord e dell’Est Europa, sarà forse perché in quei luoghi si sente pervasa da un clima fiabesco?

G: Sicuramente! E’ curioso come l’artista affianchi al suo studio sociologico e antropologico la Fiaba. Sembra quasi che lo scoprire le leggende e le fiabe di luoghi e persone sia il primo processo della sua indagine descrittiva. Questo  punto di partenza è sicuramente da collegare ai suoi ricordi d’infanzia, quei momenti di svago passati con la sua famiglia che facevano crescere dentro di lei una forte curiosità nel conoscere ciò che la circondava attraverso l’ascolto e il rumore dei racconti.
Da una sua permanenza in Svezia nasce il progetto Alice, ove la storia della fiaba di Alice nel paese delle meraviglie viene letta in chiave nordica, attraverso il racconto di un viaggio tra il sogno e realtà spinta dal desiderio di raggiungere la Betulla, simbolo della cultura e bellezza nordica, misurata ed armonica.
La Betulla, pianta solitaria ma la prima a germogliare e a decretare la fine dell’inverno, non è l’unico riferimento naturale ripreso dall’artista: come hai interpretato, durante il nostro dialogare con Alice, questo suo fervore nei confronti di foglie, cortecce e alberi?

A: Alice è evidentemente molto affascinata dalle caratteristiche degli alberi. Il suo progetto CON-TATTO parla per lei: ha portato tre donne in un bosco e ha fatto scegliere a ciascuna di loro un albero, senza regole, solo lasciandole libere di manifestare una preferenza a pelle. Quindi ha ritratto loro e la corteccia degli alberi selezionati, realizzando delle fotografie da esporre affiancate (possibilmente a grande dimensione) in bianco e nero, decisamente contrastate. Non si è fermata, però, alle foto, ma ha aggiunto al progetto una nuova dimensione: ha chiesto alle tre donne di realizzare ciascuna il frottage a grafite della sua corteccia, arricchendo il lavoro con una modalità processuale. I frottages, sempre di grandi dimensioni, sono il terzo elemento dei tre trittici CON-TATTO. Ne è risultato un lavoro che parla di relazione, di processo e soprattutto di tatticità. Quindi ti rispondo così, per me Alice si serve continuamente del riferimento con corteccia, foglie e tronchi perché costituiscono l’aspetto concreto – tattile – delle forme di vita che cerca di indagare.
Non mi stupisce, in questo senso, che manifesti una forte predilezione per la luce del nord: nella nostra chiacchierata ha più volte citato i pittori fiamminghi, che sono noti per essersi concentrati sulla sensibilità tattile della vista.

G: E’ poi curioso come trasforma ulteriormente questi colori e luci poichè “vedo già l’immagine in bianco e nero prima di scattare”, e il modo in cui vede questo bianco e nero basta a concretizzare tutto quello che ci deve essere all’interno del suo scatto. quella luce del nord appare anche nell’utilizzo del monocromatico, la cui forza lascia anche poco spazio alla scala dei grigi: o è bianco come la luce del mattino o è nero come la notte. Ma funziona anche perchè quello che vede va oltre all’utilizzo del colore. Quel che vede è una storia, una fiaba, un luogo, un viaggio. Questo contrasto accentuato e le inquadrature così strette, particolari e inizialmente didascaliche ci mostrano quello che lei vuole perchè è quello che lei ora conosce. L’indagine e l’istinto dell’autrice, uniti, aprono i progetti a qualcosa di più ampio respiro verso una pratica artistica di ricerca e empatia.

A: Metti insieme la fascinazione per la fiaba, il desiderio di viaggiare e la volontà di indagine antropologica; bene ora illumina il tutto con una forte ma diafana luce del nord. Seleziona solo piccole, precisissime porzioni di spazio, e vira tutto in bianco e nero. Fatto?

Ti senti, adesso, nelle vene della betulla?

lo studio visit è stato fatto prima del DPCM del 4.3.2020

Realtà Fluida di Ricerca Artistica

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