Streghe

Le streghe (per fortuna) non se ne sono mai andate

Femminismo, caccia, bambinə, fiabe, ribellione, superstizione, stereotipi, sessismo, patriarcato, misoginia. Facciamo un gioco: a quante parole ci porta la parola STREGA?
10 Marzo 2022
12 min
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Quando da bambina guardavo i film Disney, le streghe mi intrigavano molto più delle ingenue fanciulle protagoniste: trovavo queste ultime stupide, piatte, noiose, costrette a completarsi nella controparte maschile – spesso altrettanto insignificante. Mi apparivano prive di linfa, delineate esclusivamente da qualità come una pazienza surreale e un’immotivata gentilezza o da attributi quali la bellezza fisica e la voce soave.

Le streghe, d’altro canto, erano sì crudeli, invidiose, vendicative, arroganti, arrabbiate, ma possedevano poteri soprannaturali, menti pensanti e strategiche, una loro dimensione di autonomia e ribellione al sistema di re e regine perfettɜ nei loro ruoli preconfezionati; soprattutto, erano dotate di una loro mutevole e imprevedibile personalità che, pure quando solo abbozzata, lasciava intravedere una storia di misteri e ambizioni.

Erano figure ai margini, fuori cornice, connesse con gli elementi e con la natura, con tutto ciò che non si vede ma si sente e si avverte, con ciò che per l’umanità resta nel buio, inaccessibile, nascosto nelle profondità della terra e dello spirito.

Attenzione, i film cui faccio riferimento, con fanciulle il cui destino si compie solo nella combinazione e fusione con un uomo, sono nati molto prima di me, eppure mi hanno cresciuta: La Sirenetta è del 1989, La Bella Addormentata nel Bosco del 1959, Biancaneve e i sette nani è addirittura del 1937.

Un altro mondo, diremmo, se non fosse che ancora nel 2022 inciampiamo nel patriarcato e nel sessismo, fino alle vette della misoginia. 

Ariel la più irritante

Ripensando alle principesse Disney, Ariel (nata un anno prima di me) è una delle più irritanti; pur essendo tra le meno noiose, spinta com’è dalla curiosità continua per un mondo che le è precluso, è comunque una sirenetta che delle sirene mitologiche, seducenti e inquietanti al contempo, conserva ben poco. E quel diminutivo in -etta mi sembrava, già da bambina, la conferma più evidente di questo ridimensionamento della sua carica di creatura misteriosa e pericolosa.

Il vero problema era che fosse disposta a rinunciare alla sua voce e alla sua natura per conquistare l’amore di uno sconosciuto privo di alcun fascino e realizzare così, di fatto, l’unico desiderio dello stereotipato Re Tritone (padre di una gran quantità di figlie-vallette): il matrimonio.

Il finale del film pareva quindi ai miei occhi una sconfitta e aveva il sapore della rinuncia alla libertà. Dal controllo di un uomo a quello di un altro uomo, in un triste destino segnato. 

D’altro canto, la Strega del Mare, Ursula, è una figura con piena consapevolezza di sé e dei suoi desideri. Forse non tuttɜ sanno che il suo character design è in parte ispirato a una famosa attrice e drag queen americana che ha segnato un’epoca: Divine.

Perché vive ai margini? Certo non prova invidia per Ariel, piuttosto la compatisce e la biasima, a tratti la ridicolizza per la sua ingenua vanità. Ariel, sacrificando la sua voce, sacrifica metaforicamente anche il suo pensiero e, di fatto, la possibilità di esprimerlo. 

La Ariel-donna è una donna che non parla e neppure comunica, se non a suon di occhiate dolci; è una donna feticcio, annullata, privata di se stessa, non tanto o solo perché senza voce, quanto perché del tutto spersonalizzata.

Nel frattempo, Ursula colleziona preziosità, è astuta e piena di poteri. È un’anticonformista. È sola, o meglio, come tutte le streghe Disney di derivazione fiabesca non vive con lɜ suɜ simili, ma è circondata di creature sottomesse e indegne; potrebbe trasformarsi nella bellissima Vanessa quando vuole, ma non è quello che le interessa fare: lei vuole il potere, accumulare ricchezze e rarità.

Nel suo canto sarcastico si cela una chiara denuncia del mondo sessista e superficiale per cui Ariel vuole sacrificarsi:

Agli uomini le chiacchere non vanno / Si annoiano a sentire “bla bla bla!” / Sulla terra va così / E le signore fanno in modo da evitare di parlare un po’ di più. / Ai maschi la conversazione non fa effetto / Il gentleman la evita se può / Si innamorano però / Di colei che sa tacer / La donna un po’ ritrosa troverà / Un uomo che la conquisterà“.

Grimilde

Grimilde, la strega di Biancaneve, splendida e austera, vuole invece essere la più bella del reame. Non ha interesse alcuno a conquistare un uomo, il suo sogno è tutto per sé. Silenziosa e affascinante, può, come Ursula, mutare il suo sembiante al solo scopo di eliminare l’ostacolo che si frappone tra lei e il suo obiettivo.

Da un punto di vista estetico, il personaggio deve molto a una meravigliosa scultura del XIII secolo, parte di un gruppo di dodici statue raffiguranti i facoltosi margravi dell’XI secolo, fondatori e benefattori della chiesa della cittadina tedesca di Naumburg: è appunto Uta di Naumburg, “la più bella del reame”.

Di lei sappiamo che nacque nel castello di Ballenstedt, nell’attuale Sassonia-Anhalt, che era figlia del conte Adalberto di Ballenstedt e di Hidda, erede di Odo I, margravio (potremmo dire marchese) e che nel 1026, all’età di 26 anni (per quei tempi un’età già abbastanza avanzata), sposò per motivi politici l’allora quarantunenne margravio di Meißen, con cui visse vent’anni presso il castello di Albrechtsburg.

Informazione ancora più interessante: sappiamo che sfuggì al rogo dopo aver affrontato un processo per stregoneria e che morì a causa di un’epidemia senza lasciare figlə.

Sarebbe interessante sapere perché fu accusata, conoscere la storia del processo, capire come riuscì a evitare la condanna. E pensare che il caso, secoli dopo, l’avrebbe resa “strega” di nuovo, nella finzione di uno dei più celebri film Disney. 

Infine, c’è la potente Malefica

Anche in questo caso, la strega de La Bella Addormentata nel bosco è l’unico personaggio femminile veramente interessante del lungometraggio: la vicenda della principessa Aurora è determinata da doni magici ricevuti alla nascita, una buona dose di ingenuità e un principe che la bacia.

E altro che bacio a stampo! Nell’antica versione della fiaba, l’innocente fanciulla viene messa incinta nel sonno come nella migliore tradizione ovidiana.

Comunque sia, nel remake cinematografico più recente, la Malefica-Jolie è addomesticata, è una donna ferita, tradita da un uomo e per questo rancorosa; inoltre, è una donna empatica che non può non affezionarsi alla piccola che ha maledetto. È un cambiamento importante, per una strega! Molto rassicurante.

Nello stesso film canta Lana Del Rey, la celebre star internazionale che si autodichiara strega e che ammette nelle interviste di occuparsi di esoterismo (nel febbraio 2017, assieme ad altre “compagne” di magia, si è data appuntamento ai piedi della Trump Tower a New York per invocare le dimissioni del presidente!).  

Rifacimenti a parte, la strega della tradizione popolare ha un’importante caratteristica, quasi imprescindibile: è in qualche modo l’anti-madre.

Nessuna delle streghe della vecchia Disney prova amore ed empatia per bambini e bambine, anzi. La strega Disney non solo non è moglie, ma non è neanche madre. Sia essa bellissima o mostruosa, resta stereotipata nella sua condizione di solitudine rispetto alle convenzioni che la vorrebbero confinata entro ruoli sociali precisi e controllabili. La strega è temuta perché non è una donna canonica, e perdipiù è potente. È l’esatto opposto delle “buone principesse” che non ambiscono – o non possono ambire – a qualcosa che non sia l’amore, o meglio ancora, il matrimonio.

La strega è contro ed è fuori dallo schema, perché trova realizzazione solo in e per sé stessa.

Non ci sono solo le fiabe antiche e i lungometraggi Disney a ricordarci che la strega odia i bambini e le bambine.

Le streghe di Roald Dahl (1983) “sembrano donne qualunque, vivono in case qualunque, indossano abiti qualunque e fanno mestieri qualunque. Per questo è così difficile scoprirle”, ma un tratto decisivo le accomuna: “Una VERA STREGA odia i bambini di un odio così feroce, furibondo, forsennato e furioso, da non poterselo immaginare. E infatti passa tutto il suo tempo ad escogitare nuovi modi per sbarazzarsi di loro. Il suo più grande divertimento è farli fuori ad uno ad uno; non pensa ad altro, dalla mattina alla sera. Che faccia la cassiera in un supermercato o la segretaria in un ufficio, oppure che guidi un’automobile di lusso, la sua mente continua instancabile a inventare, rimuginare, tramare, progettare, elaborare piani sanguinosi”. E le streghe, è bene ricordarlo, “sono tutte donne”. 

Perché la donna malvagia è una donna che non ama i bambini, che li odia profondamente, che è pronta a lanciare loro terribili maledizioni o a cuocerli in un forno? Perché la donna cattiva per eccellenza è l’anti-madre o la “cattiva madre”?

La madre e la strega: due figure che per secoli la cultura popolare occidentale – e non solo – ha messo in contrapposizione e che l’uomo ha profondamente temuto. Due figure potenti, in grado di guidare il destino dell’umanità, di accedere a piene mani a un mistero che a lui è precluso. 

La madre può essere spaventosa, ma la strega lo è sempre, e molto di più. La donna privata del suo ruolo definito all’interno della società patriarcale è dipinta come una donna a metà, una donna sbagliata, una donna inutile o, ancora peggio, una donna del demonio.

Ancora oggi la donna fatica a scrollarsi di dosso l’idea (sua o della società in cui abita) che debba prima o poi procreare, e questo avviene, paradossalmente, in un mondo che tutela poco le madri (wall:out: Mothers and the city. Essere genitorɜ in quel non villaggio che è ancora Genova), anche da un punto di vista economico, lavorativo… Così essere madre è condizione “sacra” su un piano ideale, ma di fatto è spesso una storia di rinunce e fatiche, di compromessi e timori.

Quasi che essere madri fosse un pregio e una colpa insieme, un dono e una condanna, da espiare rinunciando ai propri desideri, alla propria piena realizzazione professionale, alla potenza delle proprie debolezze e dei propri dubbi. Madre, alla fin fine, continua a essere troppo spesso Maria.

Caccia alle streghe

E ora veniamo alla storia, a quella “caccia alle streghe” che è stata a tutti gli effetti una delle più cruente e folli stragi della storia. Durata più o meno dal 1450 al 1750, ha compreso l’era della Riforma protestante, della Controriforma e della Guerra dei Trent’anni. Un giochetto malato che ha causato tra le 35000 e le 60000 vittime, per l’80% donne.

Sfatiamo anche qualche mito, già che ci siamo:

L’orrore, come si è visto, non ha molto a che vedere con il Medioevo, quanto piuttosto con il lucente periodo che denominiamo Rinascimento (wall:out: Donne Medievali: sole, indomite, avventurose. Intervista a Chiara Frugoni); quella che oggi chiamiamo sorellanza era certo un concetto ben lontano dall’essere praticato e spesso erano proprio le donne a denunciarsi tra loro; in quegli anni di follia tanti furono anche gli uomini accusati di stregoneria; e no, la Chiesa non fu il mandante diretto più comune, perché la caccia fu in buona misura un fatto civile, con la cittadinanza che, vinta dal pregiudizio, dalla superstizione, dalla paura, da veri e propri momenti di isteria collettiva, montò accuse e istituì processi più o meno formali ancora prima dell’intervento istituzionale.

Tra le vittime prescelte ci furono, come sempre accade, le categorie più temute (ad esempio, la comunità ebraica) e quelle più fragili; le povere, le anziane non maritate, le prostitute. 

C’è un’ulteriore categoria che fu particolarmente presa di mira e che tiene l’estremo di un filo sanguinoso che arriva dritto fino a oggi: quella delle ostetriche, levatrici e guaritrici. Le donne capaci di medicare con le erbe e gli unguenti, in grado di “governare i parti”, di accudire lɜ neonatɜ, erano tra le più esposte. 

Quello di Ursula Kemp, ostetrica, levatrice e poi guaritrice, rappresenta un caso emblematico: nel 1568 viene accusata di stregoneria, nel 1582 viene impiccata a Chelmsford. Le testimonianze contro di lei sono a dir poco assurde, fantasiosi deliri che pure si accumulano negli anni e preparano la sua condanna. Alla fine, Ursula confessa di essere una strega e di far parte di una congrega. Quasi tutte le accuse contro di lei giungono da donne per cui ha lavorato.  

Come lei, molte signore dedite alla cura con le piante officinali o praticanti della medicina popolare furono torturate e uccise.

Queste affiancavano con le loro pratiche alternative la medicina ufficiale nei contesti più poveri, assistevano al parto (precluso agli uomini, terrorizzati dall’orrore della nascita), ma anche all’aborto. Alcune di loro trovavano arcaiche soluzioni per impedire le gravidanze indesiderate o per salvaguardare la salute delle madri. Era perciò semplice accusarle di aver impedito una nascita, di aver reso sterile o impotente un uomo, di aver ucciso unə neonatə per sacrificarlə al diavolo. 

Non è un caso che a loro sia riservata un’intera sezione del “Malleus Maleficarum” (Il martello delle malefiche), un trattato in lingua latina pubblicato nel 1487 dal frate domenicano Heinrich Kramer con la collaborazione del confratello Jacob Sprenger.

Malleus Maleficarum

Oggi lo definiremmo un bestseller: vero e proprio manuale per la caccia alle streghe, fu stampato in ben 34 edizioni, fino al 1669, senza mai subire un calo di richiesta e arrivando alla tiratura, per l’epoca eccezionale, di 35.000 copie.

Nel testo la misoginia regna sovrana, la donna è mas occasionatus (un maschio mancato) e per questa ragione cade più facilmente vittima delle tentazioni del demonio. A confermare l’inferiorità, la pericolosità e la debolezza della femmina sono chiamate a raccolta voci autorevoli del passato come quel san Giovanni Crisostomo, che è uno dei 36 Dottori della Chiesa, ma anche colui che regala perle come queste:

Che altro è la donna se non nemico dell’amicizia, punizione inevitabile, male necessario, tentazione naturale, calamità desiderabile, pericolo domestico, danno dilettevole, natura maligna dipinta di bei colori?”, oppure: “Tutto il sesso (femminile) è debole e sventato. Esse giungono alla salvezza solo tramite i figli.”, o ancora: “Le donne servono soprattutto per soddisfare la libidine degli uomini”. 

Altra fonte citata è Cicerone secondo cui:

i desideri degli uomini li conducono verso un unico peccato, ma la lussuria delle donne li conduce a tutti i peccati, poiché la radice di tutti i vizi della donna è l’avarizia” .

E ancora Seneca:

Quando una donna pensa da sola, pensa cose cattive”. 

Secondo il Malleus la donna è più “credula” e corrompibile, è debole e impressionabile, è “linguacciuta” ed è incapace di nascondere alle compagne i segreti delle arti malvagie di cui è a conoscenza.

Esse sono più deboli sia nella mente sia nel corpo, non è sorprendente che esse soggiacciano maggiormente agli incantesimi della stregoneria”.

A testimoniare dell’inferiorità mentale delle donne c’è Terenzio, secondo cui “le donne sono intellettualmente come i bambini”. 

La donna, inoltre, è più carnale, è lussuriosa, più cedevole al piacere, portata al sesso non riproduttivo, la peggiore delle abitudini; è imperfetta, è difettosa fin dalla nascita essendosi formata da una costola curva, cioè da una costola “che si piega come se fosse in una direzione contraria all’uomo”. È insidiosa. Eva non ha forse dubitato della parola di Dio? Stando a Catone: “quando una donna piange, sta tessendo insidie”. 

Nel Malleus si arriva perfino a sostenere che la parola femina provenga da “fe” (fede) e “minus” (minore). Falso. Vale la pena ricordare, però, che la vera etimologia della parola rimanda al concetto di fecondità procreatrice. Femmina è colei che nutre, allatta, genera. E d’altro canto, la parola donna deriva dalla domina, la signora della casa.  

Nell’ultima parte del volume vengono date precise istruzioni rispetto alle pratiche di cattura, i processi, le detenzioni e gli omicidi.

Il testo si sofferma con insistenza sulle presunte performance sessuali delle accusate con il demonio e suggerisce perverse torture da praticare per estorcere una confessione. A ben vedere, il testo contiene della pornografia e questo potrebbe in parte spiegarne l’enorme successo.

La “Questione XI” è riservata proprio alle terribili ostetriche che “in diversi modi uccidono nell’utero i concepiti, provocano l’aborto e, se non fanno questo, offrono ai diavoli i bambini appena nati”. Secondo il giudizio degli inquisitori, la stregoneria non solo fa in modo che qualcuno non riesca a compiere l’atto carnale, ma anche che la donna non concepisca o, qualora concepisca, in seguito abortisca. E a questi “si aggiungono un terzo e un quarto modo: qualora non riescano a provocare l’aborto, uccidono poi il bambino oppure lo offrono al diavolo”. 

E poi, all’improvviso, sembra di leggere Roald Dahl: “certe streghe, che vanno contro l’inclinazione della natura umana, anzi contro le condizioni proprie di tutte le bestie, eccettuata solo la specie del lupo, sono solite divorare e mangiare i bambini”.

E ancora: “Sono proprio le streghe ostetriche a causare i danni peggiori, come hanno raccontato a noi e ad altri le streghe pentite, le quali dicevano che nessuno nuoce alla fede cattolica più delle ostetriche. Infatti quando non uccidono il bambino, lo portano fuori dalla camera come se dovessero fare qualcosa, ma sollevatolo in aria lo offrono ai diavoli”.

Sì, Dahl: peccato che Il martello delle malefiche non sia certo una storia per bambinɜ, bensì il testo-guida di centinaia di orribili processi.

Eliminare le streghe per salvaguardare le nascite? Togliere alle donne il controllo sul proprio corpo o sul corpo di altre donne? Fare in modo che le donne, terrorizzate da un sistema tanto superstizioso quanto patriarcale, si facciano la guerra tra di loro? Intendere la donna solo come procreatrice passiva e sottomessa a un sistema di potere? Vi dice qualcosa?

Se pensiamo al 2022 i brividi vengono eccome, e non sono provocati dalle streghe. 

Ma loro, loro non se ne sono mai andate.


Consigli di lettura:

  • Antonella Castello, Federica Marsili (a cura di), Grimorio, ABEditore, 2021 (magico)
  • Brian P. Levack, La caccia alle streghe in Europa, Laterza, ed. 2021 (storico)
  • Gabriella Vai Taboni, Le streghe di Yahweh, Uno editori, 2019 (curioso)
  • Jude Ellison Sady Doyle, Il mostruoso femminile. Il patriarcato e la paura delle donne, Tlon, 2021 (trasversale)
  • Lorenzo Soave, Il terrore nell’arte, Palombi editore, 2019 (artistico)
  • Mona Chollet, Streghe, Storie di donne indomabili dai roghi medievali a #MeToo, UTET, 2019 (attuale)
  • Ronald Hutton, Streghe. Una storia di terrore, dall’antichità ai giorni nostri, Il Saggiatore, 2021 (documentato)

Immagine di copertina:
wall:in media agency con illustrazione di Martina Spanu


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Storica dell’arte specializzata in storia dell’arte contemporanea e curatrice indipendente, scrive per la rivista d’arte “Juliet”, lavora nel settore comunicazione della Coop. Il Ce.Sto e dei Giardini Luzzati-Spazio Comune, è social media manager di diversi progetti in corso, lavora nella redazione del network di comunità “Goodmorning Genova”. Co-fondatrice di Progetto A (associazione che ha realizzato progetti di curatela e promozione artistica). Sempre attenta all’attualità, con una forte vocazione per il sociale, attivista delle cause perse, mente aperta e curiosa, appassionata di cinema e accanita lettrice. Femminista. Viaggia spesso, vive di arti, di relazioni sociali, di incontri. Scrive, scrive, scrive -sempre, ovunque, specie di notte.

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