Vaccini politica estera

LABIBA | Vaccini, politica estera e Questione palestinese

Vaccini e politica estera, due elementi inscindibili che vanno a toccare direttamente la questione palestinese ed il diritto alla salute.
7 Agosto 2021
di
3 min
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Premessa: Labiba prima di essere un progetto è una storia, lunga e centenaria come la storia della Palestina. Per questo troverete sempre i nostri articoli divisi per capitoli come fosse un grande libro. Capitolo Vaccini, politica estera e Questione palestinese.

Nella primavera 2021, mentre in Europa l’immunizzazione contro il Covid-19 procedeva a rilento tra inefficienze e ritardi nella consegna delle dosi, Israele stupiva il mondo con una rapida ed efficiente campagna vaccinale. Al 31 marzo, lo Stato ebraico aveva già immunizzato il 55% della popolazione con una doppia dose di vaccino, contro il 5,4% dell’Unione Europea nel suo complesso.

Al di là dei fattori interni che hanno reso possibile questo successo, è interessante soffermarsi su come il vaccino venga usato da Israele come strumento per promuovere i propri obiettivi di politica estera e come l’andamento della campagna vaccinale tocchi da vicino anche la questione palestinese.

Un primo elemento che emerge è la capacità di negoziazione di Israele, cruciale per accaparrarsi un numero di dosi adeguato a sostenere lo sforzo vaccinale nazionale.

Emblematico, in questo senso, l’accordo tra l’allora Governo Netanyahu e Pfizer, rispondente alla logica “vaccini in cambio di dati”; Israele si è garantito una prima fornitura generosa di vaccini offrendo alla casa farmaceutica americana preziosi dati clinici sulla risposta immunitaria delle persone che ricevevano la prima dose.

Dopo aver risolto la questione dell’approvvigionamento, il governo israeliano ha intuito come le scorte di siero anti Covid-19 accumulate, ben superiori al fabbisogno nazionale, potessero essere utilizzate come strumento attivo di politica estera per migliorare i rapporti con paesi considerati strategici dalla diplomazia israeliana. Netanyahu aveva infatti ipotizzato la redistribuzione di 100.000 dosi di vaccino a paesi amici e potenziali alleati.

Il Piano Netanyahu si è poi arenato a causa dell’opposizione interna dei partner di governo, ma non è stato totalmente abbandonato. Infatti, il nuovo esecutivo ha concluso uno swap deal o accordo di scambio con la Corea del Sud: Seul riceverà da Israele 700.000 dosi di vaccino che verranno poi restituite in autunno.

Le dosi destinate a Seul erano già state oggetto di trattative tra Israele e l’Autorità Palestinese per la firma di un accordo analogo a quello effettivamente concluso con il paese asiatico. Le trattative tra i due vicini mediorientali sono però naufragate a causa di crescenti polemiche relative alla data di scadenza delle fiale – troppo ravvicinata secondo i palestinesi – caratteristica che ne avrebbe impedito la distribuzione.

Vaccini e politica estera

Due elementi inscindibili che vanno a toccare direttamente un aspetto cruciale della questione palestinese: il diritto alla salute e le responsabilità a livello sanitario delle parti coinvolte.

La questione emerge in tutta la sua rilevanza dal confronto tra i ritmi della campagna vaccinale israeliana e quella palestinese; nei territori palestinesi, appena il 7,8% della popolazione ha completato il ciclo vaccinale, contro l’attuale 61% di Israele. Di fronte a dati così impietosi, l’opinione pubblica mondiale è tornata ad interessarsi al tema del diritto alla salute nei territori palestinesi, chiedendosi quali siano le responsabilità di Israele nel garantire l’accesso ai vaccini anti-Covid anche alle popolazioni della Cisgiordania e della Striscia di Gaza.

Israele si è fatto carico della vaccinazione dei palestinesi residenti permanenti di Gerusalemme Est e dei coloni degli insediamenti illegali in Cisgiordania.

È questo un gesto dalla forte valenza politica poiché, attraverso il vaccino, lo stato ebraico ha ribadito la sua volontà di controllo su territori contesi, avocando a sé competenze in ambito sanitario.

La questione è ampiamente dibattuta anche nel diritto internazionale. Gli Accordi di Oslo del 1993 assegnano all’Autorità palestinese la competenza sul settore sanitario, vincolando però i due paesi a forme di collaborazione, anche nella lotta alle pandemie globali. 

Inoltre, Israele è considerato dalla Corte Internazionale di Giustizia e dalle Nazioni Unite una potenza occupante e, come tale, vincolato dal diritto internazionale a farsi carico della salute delle popolazioni che vivono nei territori occupati.

Qualunque prospettiva si adotti, Israele ha un ruolo cruciale nel garantire l’approvvigionamento dei vaccini palestinesi, avendo imposto un blocco alla Striscia di Gaza e controllando buona parte dei valichi di frontiera con la Cisgiordania. 

Covax

Attualmente, il 20% del fabbisogno di vaccini palestinese è stato coperto grazie al programma Covax, una partnership tra l’Organizzazione Mondiale della Sanità e la Global Alliance for Vaccines and Immunization, nata per garantire un’equa distribuzione del vaccino anti-Covid tra i paesi poveri. 

Il restante fabbisogno dovrà essere garantito attraverso altri canali come la negoziazione diretta di ulteriori forniture da parte dell’Autorità palestinese, attività che richiede necessariamente la collaborazione di Israele.

Ancora una volta, il caso palestinese dimostra come la corsa al vaccino non sia solamente una questione nazionale, soprattutto per un paese che deve convivere con un vicino ingombrante che controlla le frontiere e occupa parti considerevoli del proprio territorio.

I vaccini sono intrinsecamente legati a considerazioni di politica estera, sia per Israele che li utilizza come strumenti attivi della propria diplomazia, sia dalla Palestina, dalla cui capacità negoziale dipende la possibilità di diversificare le fonti di approvvigionamento dei sieri contro il Covid-19.

Articolo di
Giammarco Guzzetti

Immagine di copertina:
Foto di Daniel Schludi


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