Hadid proteste palestina

LABIBA | Il privilegio come mezzo di sensibilizzazione: il caso Hadid

Quando il privilegio diventa mezzo e strumento per sensibilizzare ai diritti umani: il caso della famiglia Hadid di origini palestinesi.
5 Novembre 2021
di
2 min
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Oggi ogni battaglia sociale passa attraverso i piccoli schermi dei nostri telefoni e dei nostri account social, trasformati ormai in strumenti essenziali per smuovere coscienze e animi. Ne è un esempio concreto il movimento “The Black Lives Matter” che ha visto mobilitare e schierarsi dalla parte degli oppressi molti personaggi famosi.

Non si può dire lo stesso per gli scontri avvenuti a maggio 2021 tra Palestina e Israele, dove soprattutto i profili dei brand di moda sono rimasti in un silenzio assordante.

Come può il mondo della moda parlare di diritti e politica? 

Con la nascita del brand activism, ovvero la volontà da parte dell’azienda di assumersi responsabilità in ambito sociale, si ha avuto un boom di campagne social schierate dalla parte dei bistrattati. Se, da una parte, il razzismo, il DDL Zan o l’equal pay rappresentano argomenti su cui è facile essere d’accordo, è tutt’altra partita schierarsi su questioni che presuppongono una presa di posizione che scontenti qualcuno.

Ad oggi, tra le personalità più notevoli del mondo della moda, c’è Diet Prada che ha postato una serie di vignette sulla storia e gli errori di narrazione riguardanti la questione palestinese, ma soprattutto va nominata la famiglia Hadid.

Proprio una delle figlie, la famosa modella Gigi Hadid, nel suo post, ha sottolineato quanto sia ipocrita “pick and choose” quali diritti umani sono più importanti di altri. Ciò che è importante sottolineare è che questa famiglia, con le sue origini palestinesi, che conta milioni di followers e che ha un impatto sociale importante, si sia schierata dalla parte del loro popolo, trasformando il loro privilegio in uno strumento di lotta e resistenza. 

Chi è la famiglia Hadid?

Mohamed Hadid nasce nel 1948 in una benestante famiglia musulmana nella città palestinese di Nazareth, nel pieno della guerra arabo-israeliana. Gli Hadid cacciati dalla propria terra, si stabiliscono in un campo profughi palestinese in Siria, per trasferirsi in Libano tre anni dopo.

In seguito, la famiglia Hadid ottiene la nazionalità giordana, all’epoca generosamente accordata ai rifugiati palestinesi, ed è con questo passaporto che emigrò a Washington nel 1963. L’adolescente Mohamed, inizialmente molto limitato nell’inglese, riesce a iscriversi dopo alcuni anni al prestigioso Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston.

La famiglia Hadid raramente ha messo in evidenza le sue radici palestinesi, tranne quando Bella partecipò a una manifestazione di protesta nel 2017 contro la decisione di Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele. Bella si è unita alla marcia pro-Palestina insieme a suo padre Mohamed Hadid.

Viene così documentata sui social la posizione in merito alle decisioni prese dallo Stato di Israele e dal sostegno politico degli Stati Uniti d’America: 

“Amo la mia famiglia, amo la mia eredità, amo la Palestina, rimarrò forte per mantenere la loro speranza in una terra migliore nel mio cuore. Un mondo migliore per la nostra gente e per le persone che li circondano. Non potranno mai cancellare la nostra storia. La storia è storia! ” (Aria Mediterranea)

Anwar, l’ultimo dei fratelli Hadid, rompe questa “neutralità” durante un recente soggiorno in Terra Santa:

Uno dei miei sogni è che i miei figli portino ovunque con loro il nome della Palestina”.

Lo stesso Anwar si fa divulgatore delle foto del muro costruito da Israele nel territorio palestinese in Cisgiordania, incluso il murales che si fa beffe di Trump.

Nonostante queste prese di posizioni circoscritte a determinati eventi, le sorelle Hadid tornano alla carica nella primavera del 2021 durante gli sgomberi forzati a Sheik Jarrah prima e gli attacchi missilistici dopo (LABIBA | Sheikh Jarrah il centro di continui sfratti e ferma resistenza).

Gigi e Bella hanno entrambe condiviso un post che recita: 

“Non si può difendere l’uguaglianza razziale, i diritti delle donne e le persone LGBT, condannare i regimi corrotti e abusivi e altre ingiustizie ma scegliere di ignorare l’oppressione palestinese”.

Quello che è rilevante di tale storia è che finalmente chi gode di un certo privilegio, come la famiglia Hadid, che conta un seguito di 46 milioni di persone circa e rappresenta i brand più famosi al mondo, rompono il silenzio in favore del popolo palestinese portando all’attenzione mediatica i diritti violati di un popolo spesso dimenticato dalla comunità internazionale.

Articolo di
Giulia Marchiò

Immagine di copertina:
Foto di Clem Onojeghuo


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