Disneyland

Non siamo una città di camerieri

Quella volta in cui Genova venne attenzionata dalla Walt Disney Company, per la costruzione del suo primo parco divertimenti europeo. La suggestione naufragò presto, tra difficoltà di tipo logistico e una mentalità piuttosto chiusa. E oggi, andrebbe diversamente?
26 Agosto 2020
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Era il 1984, la città di Genova si stava avvicinando a grandi falcate alle Colombiadi e all’Expo del 1992. Un ambizioso progetto di riqualificazione del Porto Antico stava prendendo campo sotto la supervisione di Renzo Piano, un entusiasmo genuino affiorava nelle menti dei genovesi, di fronte a un periodo di grande attenzione internazionale nei confronti della Superba. Quell’anno una delegazione di emissari americani di Disneyland fece visita nel Ponente, per effettuare un sopralluogo presso l’area della Val Polcevera. Ad accompagnarli ci fu Riccardo Garrone, presidente della compagnia ERG (specializzata nella raffinazione petrolifera), il quale aveva la forte volontà di rilanciare un luogo che stava cominciando a subire gli effetti della deindustrializzazione.

La Walt Disney Company, in forte espansione, era alla ricerca di una località su cui poter costruire il suo primo parco divertimenti in Europa. Tra le varie opzioni Genova venne attenzionata per diversi motivi, tra cui la qualità del clima e lo spazio ampio che si sarebbe potuto ricavare dallo smantellamento dell’area industriale.

La sdegnosa replica dell’allora Sindaco – il socialista Fulvio Cerofolini – è diventata proverbiale:

Non siamo una città di camerieri

Disneyland
Fulvio Cerofolini. Foto del Comune di Genova

Un’affermazione che rivendicava l’orgoglio di una terra che si percepiva ancora operaia, produttiva, e che disprezzava la terziarizzazione. Assai poco lungimirante però, dato che il mondo delle fabbriche stava per finire, mentre il settore terziario si trovava in continua ascesa (Storia di Genova, dalle origini ai giorni nostri – Paola Pettinotti – Edizioni Biblioteca dell’Immagine).

 Il resto è storia

Il parco giochi più famoso del continente è stato costruito a una trentina di chilometri da Parigi, a Marne-la-Vallée. Inaugurato il 10 aprile 1992, è divenuto fin da subito una vera e propria attrazione turistica, con un flusso annuo che si attesta sui 10 milioni di ingressi. Una curiosità: nel 2012 Disneyland Paris ha superato per numero di turisti la Tour Eiffel e il museo del Louvre, con ben 16 milioni di clienti.

Numeri strabilianti, che fanno comprendere meglio il successo commerciale avuto dallo sbarco europeo dei personaggi dei cartoni animati americani. È un vero peccato non essere riusciti a rendere quella che sembrava poco più di una semplice suggestione in un progetto vero e proprio, appoggiato dall’amministrazione politica in carica e da una mentalità più aperta al nuovo. 

Del resto, non è stata l’unica volta in cui la nostra amata città ha preso decisioni poco lungimiranti.

Disneyland
Disneyland Paris. Foto di Benjamin Suter

Deindustrializzazione

Le acciaierie dell’Italsider hanno dovuto affrontare un periodo di confusione e di crisi, con la conseguente perdita di posti di lavoro e la flessione generale degli stabilimenti. A livello mondiale gli anni ’80 e ’90 sono risultati difficili per il mondo delle fabbriche; anni di riconversione, anni di deindustrializzazione, anni in cui vasti strati sociali si sono trovati a doversi reinventare. Il tema è stato sviscerato con maestria e cruda poeticità dal cantante più “operaio” di tutti: il Boss, Bruce Springsteen. 

Nel 2012 scrisse una canzone intitolata “The Wrecking Ball”, dedicando la sua attenzione alla demolizione di uno stadio sportivo. Ma il senso di queste parole può essere esteso a molte realtà americane ed europee, che nel tempo hanno conosciuto lo spettro della demolizione e del disuso. 
Spazio alle sue parole dunque:

“I was raised out of steel
here in the swamps of Jersey
some misty years ago
through the mud and the beer
the blood and the cheers
I’ve seen champions come and go
so if you’ve got the guts mister
yeah if you’ve got the balls
if you think it’s your time
then step to the line
and bring on your wrecking ball

Bring on your wrecking ball
bring on your wrecking ball
c’mon and take your best shot
let me see what you got
bring on your wrecking ball”. 

….

“[…] Scaglia la tua palla demolitrice
scaglia la tua palla demolitrice
fai il tuo colpo migliore
e fammi vedere di cosa sei capace
scaglia la tua palla demolitrice. […]”

Nel corso del decennio, il genovesato rappresenta l’area geografica del paese che registra il più grave decremento percentuale tra gli addetti all’industria: in valore assoluto si tratta della perdita di 33mila posti di lavoro in quello che era considerato il traino dell’economia cittadina.

Diciamocelo, trovarsi il regno della Disney a pochi chilometri da casa sarebbe stato sicuramente interessante, e avrebbe potuto fare da volano economico per numerosi settori e località della nostra regione. Purtroppo però la realtà si scontra con numerose variabili, e i tempi in cui era stata vagliata l’ipotesi non erano maturi per fare un passo così grande e così profondo.

Il viaggio in terra genovese della delegazione americana rimarrà dunque un grosso “what if”, uno dei tanti bivi da cui si dipana la storia di una città. E la storia, si sa, non si fa né con i “se” né con i “ma”.

Chiudiamo con un quesito, che vuole fare da spunto di riflessione:

Se oggi, nel 2020, si dovesse ripresentare un’occasione simile per Genova, alla luce di un mondo che sembra andare avanti a velocità sempre più sostenute, come reagirebbe la nostra comunità? 

Guarderemmo con sospetto un investimento atto a rinnovare le nostre basi, oppure ci lasceremmo attrarre da una prospettiva esposta sul domani, con i suoi rischi e i suoi entusiasmi?

Immagine di copertina
Pan Xiaozhen


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Classe ’95. Laureato in Scienze Internazionali e in Storia contemporanea.
Innamorato del mondo e con un semestre in Norvegia alle spalle.
Nel giugno 2018 ha fondato il progetto editoriale Frammenti di Storia, che porta avanti quotidianamente insieme a giovani da tutta Italia. Appassionato di geopolitica, di trekking e di vita outdoor in genere. Sta poco fermo.

2 Comments

  1. Se avessimo accettato allora (o se accettassimo adesso) una Disneyland a Genova è verosimile che l’economia ne avrebbe giovato.. Ma cosa sarebbe successo all’identità culturale della città? Temi molto difficili che vale la pena di affrontare nella loro complessità: cos’è, se c’è, l’identità culturale di un luogo? E come conservare gli aspetti positivi per la comunità senza resistere all’avanzamento della storia?
    Molto interessante, grazie Pierto!

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