Ginevra

BEYOND GENOA SCENE | Ginevra

Uno sguardo alle figure più rappresentative e agli artisti underground della scena elettronica genovese. Il terzo episodio con Ginevra.
17 Giugno 2020
9 min
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Beyond Genoa Scene (link) è una rubrica che consiste in una serie di interviste in profondità agli artisti elettronici del capoluogo ligure. Dj, produttori e performer ci raccontano del loro rapporto con la città, dei loro progetti e degli approcci alla creazione e alla performance. Raccoglieremo storie, idee e contenuti dei musicisti e dei dj locali, al fine di promuoverli e fare luce sulle peculiarità della scena cittadina.

Il nostro terzo ospite è Ginevra, stella nascente del film scoring e musicista elettronica dalla squisita sensibilità. Debutta a inizio 2020 con il suo primo singolo. Collabora alla realizzazione di colonne sonore di importanti produzioni tv e alcuni suoi brani sono stati scelti per le soundtrack originali di serie tv come “Il Processo”, “Il Cacciatore 2” e “SKAM Italia”.

Ginevra
Ginevra. Foto di Sharon Ritossa

Ciao Ginevra, come stai? Come hai passato questi ultimi mesi?

Ciao! Li ho passati scrivendo e lavorando (fortunatamente). La mia quarantena è stata abbastanza produttiva, ho lavorato ad alcuni progetti già in attivo da molto prima dello scoppio del virus. Ne ho approfittato per fare una full immersion!

Ottimo dai, ti sei data da fare! Parlaci del tuo immaginario musicale, quali sono i generi che ti hanno influenzato e che più si riflettono sulla tua musica?

In realtà ho sempre ascoltato tantissimi generi musicali diversi. Crescendo mi sono avvicinata moltissimo al filone del post-punk, del punk e della new wave e da lì entrare in contatto con l’elettronica è stato un passo molto breve. In seguito mi sono interessata alle correnti di avanguardia e alla musica sperimentale. Iniziando a studiare musica elettronica al conservatorio ho cominciato a studiare la storia della musica elettroacustica e così ho avuto modo di capire ancora meglio certe cose.

In famiglia siete appassionati o ci sono altri musicisti?

In primis siamo appassionati, ma la vena musicale è sempre stata molto presente in casa mia. Mia mamma ha studiato pianoforte e chitarra ed è stata anche ballerina di danza classica. Il pianoforte in casa era suo, questo è stato l’imprinting più forte.

A febbraio è uscito il tuo singolo, il primo se non sbaglio. Intanto, come si pronuncia? 

Si chiama “P!2” e si pronuncia proprio “pi due”, esattamente come la loggia P2, ma giuro che non c’entra niente con la massoneria [ride]. Per alcuni aspetti lo considero il primo vero singolo del mio progetto solista elettronico. In realtà la mia prima pubblicazione risale al 2013. Si trattava di un disco molto lontano rispetto a quello che faccio adesso. Avevo 18 anni all’epoca e quando scrissi quei brani ne avevo 16-17. Poi dal 2013 a oggi ho sempre continuato a scrivere, ho fatto, rifatto e disfatto mille volte tentativi di EP e di album. Ho cercato di fare un percorso introspettivo alla ricerca del mio suono, per andare in profondità e capire cosa volevo esprimere, come, con che mezzi e che linguaggi.

Spesso è la cosa più difficile da fare. Trovare la propria direzione artistica è forse il vero passo da amatoriale a professionista.

Sì, e per quanto riguarda il trovare la propria direzione, credo che nel mondo dell’elettronica si possano ricevere infiniti input che possono essere determinanti per la propria scrittura. Già a partire dai mezzi che utilizziamo (software e hardware) abbiamo moltissime possibilità diverse. Credo che il rapporto uomo-macchina influisca molto sul tuo processo creativo.

Come è partita la tua esperienza nel mondo del film scoring, della sonorizzazione di film e serie tv?

È stato piuttosto inaspettato. Nel 2013 ho iniziato a collaborare con Pivio e Aldo De Scalzi che sono dei giganti in Italia nel campo della composizione per colonne sonore. Molti brani del mio primo disco sono stati utilizzati per diverse serie tv su cui hanno lavorato loro come compositori, e sempre assieme a loro ho collaborato a diverse colonne sonore per film in veste di autrice di brani originali.

Com’è nata questa collaborazione?

È nata per vie traverse: conoscevo già Pivio e Aldo, e dopo aver realizzato il primo disco assieme mi sono ritrovata dentro ad alcuni contesti inaspettati, come quello delle serie tv. Da quel momento il mio interessamento al mondo delle musiche da film si è intensificato. Per una serie di coincidenze e di percorsi che ho intrapreso durante gli studi del conservatorio mi sono avvicinata al mondo della musica applicata.

A fine 2018 mi è capitato di entrare in contatto con un compositore romano, Giorgio Giampà, il quale mi ha proposto di realizzare delle musiche originali per il documentario sui desaparecidos cileni di una regista romana (Emanuela Tommasetti). All’epoca non avevo ancora avuto modo di lavorare su un progetto del genere.

Ho accettato la sfida ed è andata discretamente bene; da lì si è innescata una concatenazione di eventi molto piacevoli. Mi sono spostata a Roma per un anno e, sempre con Giorgio Giampà, ho collaborato in veste di autrice delle canzoni originali della serie Mediaset “Il Processo”, ora su Netflix e l’ho anche affiancato come assistente, questo mi ha dato modo di capire moltissime cose su questo lavoro.

È una bellissima strada!

Una cosa ha tirato l’altra.

Mi parli del tuo processo creativo? Hai uno studio? 

Adesso sono nella mia casetta a Rossiglione, sulle alture di Genova, dove ho il mio home studio (in realtà la mia cameretta super attrezzata).

Per quanto riguarda la composizione per le immagini cerco sempre di fare molte chiacchiere con il regista o con il team delle persone con cui sto lavorando per avere più feedback possibili, a partire da artisti di riferimento delle musiche che più amano per cercare di entrare nel mood del committente, in qualche modo.

Credo che il compositore debba sintonizzarsi sulle frequenze di tutto il team che fa parte della realizzazione di quel progetto e di quell’opera. Cerco anche di farmi influenzare molto e di farmi suggestionare dalle immagini, banalmente, dai colori o dalla fotografia e da trama e ambientazioni.

La parte che reputo più divertente è che talvolta è possibile stravolgere completamente un’intenzione e in qualche modo attribuire un significato diverso alle immagini, distante da quello che era in partenza. A volte può essere una scelta vincente, altre volte no.

Hai altri progetti in cantiere in questo periodo?

Diciamo di sì, sto lavorando proprio in questo ultimo periodo alla realizzazione del mio EP assieme a Maurizio Borgna, che è un mix engineer torinese. Tra l’altro ha realizzato il mix di “P!2”. 

Abbiamo dovuto rallentare per via del COVID-19 perchè ovviamente non potevo salire a Torino.

Inoltre nell’ultimo periodo ho collaborato con diversi artisti su dei singoli.

Il 15 maggio è uscito “001”.

“001” è un brano che ho scritto lo scorso anno. L’ho co-prodotto assieme a una ragazza danese che si chiama Fathma Fahmi, in arte Deb Foam. Ci siamo conosciute su Instagram, abbiamo iniziato a chattare, io ho ascoltato le sue robe su Soundcloud e lei le mie; ci siamo dette di provare a fare questa cosa insieme e poi il pezzo è stato preso per “SKAM Italia” quarta stagione.

Quando abbiamo scoperto che il 15 maggio usciva la stagione su Netflix abbiamo detto: “Ok, facciamo uscire il singolo!” e in tempi record abbiamo fatto realizzare il video da Alienside Studio e lo abbiamo piazzato sui vari canali.

Tra l’altro la serie va fortissimo.

Sì, sta andando molto molto bene, ha una colonna sonora pazzesca. Hanno fatto delle scelte musicali molto fighe, hanno uno stampo molto attuale.

Oltre a questa collaborazione ho avuto il piacere di lavorare con un produttore torinese, Pietro Cavassa. Il suo progetto si chiama “Anything Pointless”.

Abbiamo realizzato assieme un singolo che spero possa uscire a breve. Pietro ha fatto un lavoro di produzione e scrittura molto interessante a partire da una melodia scritta da me e da alcuni samples di voce che gli avevo inviato. Solitamente mi occupo in prima persona dell’arrangiamento e della produzione dei miei brani. In questo caso collaborare e vedere un altro artista all’opera è stato divertente.

Vorrei parlare un po’ della tua esperienza genovese.

“Ta dan!”

Intanto volevo sapere se negli ultimi anni sei riuscita a esibirti o comunque ad avere occasioni di confrontarti con il pubblico di qua.

Pochissimo, quasi zero. Mi dispiace dirlo ma questo aspetto fa parte del mio percorso artistico. Ho iniziato a suonare qui a Genova e mi sono girata un po’ tutti i locali dove si poteva fare musica live, dal Lucrezia al 261, 262 e Crazy Bull, chi ne ha più ne metta. Ero ancora in formazione con la mia band, quindi si parla di anni e anni fa.

Quando ho iniziato a spostarmi sull’elettronica e muovermi da sola col mio set ho avuto moltissime difficoltà a confrontarmi con una realtà live genovese. Ho vissuto per un breve periodo a Milano, dove ho suonato un po’. Venendo da fuori era più difficile trovare il contatto diretto con il locale per potersi esibire, ma in qualche modo non sentivo troppa resistenza da parte del pubblico.

Gli artisti che crescono a Genova devono farsi le ossa e fare tanta fatica. Penso che il fatto di doversi impegnare e sforzare così tanto per una cosa che può sembrare banale, quale esibirsi dal vivo, a lungo termine premi.

In questo caso vale il detto che se riesci a fare una cosa a Genova la puoi fare un po’ ovunque, no?

Sì, secondo me sì.

Non si riesce ad affermare un sistema di fruizione del live in se stesso. La maggior parte delle occasioni in cui vengono promossi dei live elettronici sono più vicine al mondo dell’arte contemporanea che alla musica elettronica. Non c’è mai stata la via di mezzo. L’esperienza dei centri sociali sicuramente ha riempito un po’ quel vuoto che però ormai è rimasto scoperto.

Effettivamente c’è questa cosa, si sente anche dal punto di vista di fruizione del pubblico. Si parla molto di musica elettronica più vicina alle installazioni di arte contemporanea o alla musica sperimentale e talvolta in questa città ci dimentichiamo di realtà più comuni come quelle dei festival o che puoi ritrovare nei club. È un’ aspetto interessante della nostra città, ti chiedi “perchè?”, non riesci proprio a spiegartelo.

Ginevra
Ginevra. Foto di Sharon Ritossa

Per concludere, raccontaci della tua esperienza in conservatorio.

Io posso riportarti la mia esperienza al Paganini, dove ho frequentato il corso di musica elettronica. Ci tengo a specificare una cosa: tutte le realtà accademiche e formative in Italia tutte sono fatte da persone e tutte le persone sono diverse. Questa è una premessa che tengo a fare perchè molti, quando si scontrano con la realtà accademica, la prima cosa che tendono a sottolineare è un’apparente chiusura mentale, rigidità e bigottismo.

In qualche modo mi sento di spezzare una lancia, ma d’altra parte è ancora troppo forte la convinzione che la nostra storia e il nostro passato siano tutto quello che abbiamo e che dobbiamo portare avanti come manifesto. Questa convinzione a Genova ad essere sincera non l’ho sentita. Non ho percepito una chiusura mentale così forte rispetto ad altre testimonianze di colleghi che frequentano altri conservatori. Personalmente ho avuto la fortuna di trovare docenti proiettati verso quello che è oggi la realtà e lo scenario musicale. 

Prima di iscrivermi in conservatorio mi resi conto che avevo bisogno di acquisire alcune conoscenze che forse solo un ambiente accademico poteva darmi. Avevo la necessità di fare una full immersion in una realtà più “strong”, nella quale sarei entrata in contatto con materie che apparentemente potevano non interessarmi.

Oggi mi rendo conto che in qualche modo questo scontro mi sia servito moltissimo. In particolare, non sarei mai entrata in contatto in maniera così approfondita con lo studio della storia della musica elettroacustica, dei personaggi che hanno fatto questa storia e banalmente dei mezzi tecnologici. Credo che il bello del confrontarsi con una realtà accademica sia la possibilità di acquisire consapevolezza rispetto ai mezzi che si utilizzano.

Se ci interessa comprendere in profondità quello che facciamo come musicisti, penso che scegliere un istituto di alta formazione musicale sia la scelta migliore.

Sei stata sia politicamente corretta che sincera, quindi bene!

Davvero. 

Una cosa che ritengo abbastanza buffa e inconcepibile è il fatto che non sia obbligatorio per tutti o che non sia previsto in ogni conservatorio un corso di studi, per lo meno triennale, dedicato alla musica da film.

Nei conservatori si studia l’opera e la sua storia senza alcun problema, mentre a volte si considera il compositore di musica da film come un compositore di serie B, il che mi fa sorridere perchè il cinema non è altro che un’evoluzione di una forma di intrattenimento che inesorabilmente si lega a quel passato che viene studiato e declamato. 

C’è tanta strada da fare. Ancora tantissima.

Un’opinione validissima. Grazie mille per questa intervista, è stata super piacevole.

Grazie a te, un saluto a tutti 🙂

Immagine di copertina:
wall:in media agency


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Classe 1996, genovese di nascita, studia Comunicazione e Società presso l’Università Statale di Milano. Fondatore e direttore artistico del progetto CODE WAR, nonché dj e produttore, vive a Genova per dedicarsi radicalmente a coltivare la scena locale e a costruirsi un futuro come operatore culturale. È il presidente dell’Associazione Culturale CDWR.

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